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CANTO V

 

 

Dante e Virgilio entrano nel II Cerchio sulla soglia trovano Minosse, il giudice infernale, che ascolta le confessioni delle anime dannate e indica loro in quale Cerchio sono destinate. Lo fa attorcigliando intorno al corpo la lunghissima coda tante volte quanti sono i Cerchi che il dannato deve discendere.

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Nel vedere Dante, lo apostrofa con durezza e lo ammonisce a non fidarsi di Virgilio, poiché uscire dall'Inferno non è così facile come entrare. Virgilio lo zittisce ricordandogli che il viaggio di Dante è voluto da Dio.

 

«O tu che vieni al doloroso ospizio»,

disse Minòs a me quando mi vide,

lasciando l’atto di cotanto offizio,  

 

«guarda com’entri e di cui tu ti fide;

non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!».

E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride?     

 

Non impedir lo suo fatale andare:

vuolsi così colà dove si puote

ciò che si vuole, e più non dimandare».


Superato Minosse, Dante si ritrova in un luogo buio, dove soffia una continua, terribile bufera e vede i dannati, peccator carnali, gridare, lamentarsi e bestemmiare Dio. Un primo gruppo di dannati volano per l'aria formando una larga schiera simile a degli storni, un'altra schiera di anime formano una lunga linea simile a delle gru in volo.

 

Dante chiede spiegazioni a Virgilio

 

«Maestro, chi son quelle

genti che l’aura nera sì gastiga?».                               

«La prima di color di cui novelle

tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta,

«fu imperadrice di molte favelle.                                    

 

A vizio di lussuria fu sì rotta,

che libito fé licito in sua legge,

per tòrre il biasmo in che era condotta.  

 

 

Di Semiramide ha parlato Giustino (martire cristiano del II secolo),  Agostino di Ippona e il suo discepolo Paolo Orosio, da cui attinge Dante che la pone tra le persone che peccarono di lussuria nel secondo cerchio. Virgilio nomina anche Didone, Cleopatra, Elena (moglie di Menelao), Achille, Paride, Tristano, in compagnia di più di mille altre anime. Dopo aver sentito tutti questi nomi, Dante è colpito da profonda angoscia e per poco non si smarrisce.

Poi, vede due anime accoppiate e manifesta il desiderio di parlare con loro. Dante le chiama e i due spiriti volano verso di lui, come due colombe che vanno verso il nido.

 

La donna si rivolge a Dante ringraziandolo per la pietà che dimostra verso di loro.

 

O animal grazioso e benigno

che visitando vai per l’aere perso

noi che tignemmo il mondo di sanguigno          

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Poi si presenta, dicendo di essere nata a Ravenna e di essere stata legata in vita da un amore indissolubile con l'uomo che ancora le sta accanto nella morte;

 

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende

prese costui de la bella persona

che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.                

 

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sì forte,

che, come vedi, ancor non m’abbandona.                 

 

Amor condusse noi ad una morte:

Caina attende chi a vita ci spense».

 

 

E’ Francesca da Rimini assassinata insieme a Paolo, suo amante nonché fratello del marito, dal marito di lei, atteso, come anticipa Francesca nella Caina, la zona del IX Cerchio dove sono puniti i traditori dei parenti.

Dante resta turbato dal desiderio amoroso dei due dannati alla perdizione e chiede a Francesca come è iniziata la loro relazione adulterina. Francesca gli dice del dolore nel ricordare, ma se Dante vuole sapere l'origine del loro amore, la donna narra che un giorno lei e Paolo leggevano per divertimento un libro, che parlava di Lancillotto e della regina Ginevra e tanto l’amore dei due li prese che quando lessero il punto in cui era descritto il bacio dei due amanti, anch'essi si baciarono e più non lessero.

Noi leggiavamo un giorno per diletto

di Lancialotto come amor lo strinse;

soli eravamo e sanza alcun sospetto.                        

 

Per più fiate li occhi ci sospinse

quella lettura, e scolorocci il viso;

ma solo un punto fu quel che ci vinse.                       

 

Quando leggemmo il disiato riso

esser basciato da cotanto amante,

questi, che mai da me non fia diviso,                         

 

la bocca mi basciò tutto tremante.

Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:

quel giorno più non vi leggemmo avante».               

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Mentre Francesca parla, Paolo resta in silenzio e piange. A questo punto Dante è sopraffatto da tale turbamento che sviene.

 

Mentre che l’uno spirto questo disse,

l’altro piangea; sì che di pietade

io venni men così com’io morisse.

 

E caddi come corpo morto cade

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Canto V
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